venerdì 25 gennaio 2008

I cinesi e la mafia


Quando io pronuncio la parola "mafia", i cinesi ridono. Sicuramente pensano alla loro e non alla nostra, perchè i ragazzi giovani che vengono a scuola, dell'Italia non sanno niente, eccetto qualcosa del cibo - gelato, pizza, cappuccino - e delle file sotto la questura dalle cinque la mattina. Conoscono bene l'arroganza di chi sta negli uffici, non conoscono i loro diritti sul lavoro, sanno che i lavoratori dei ristoranti italiani lavorano metà tempo e guadagnano di più, ma "cinesi è cinesi" non immaginano che esista la possibilità di ammalarsi, non sanno che cosa sia l'assistenza sanitaria, se stanno male, vanno al Pronto Soccorso (a Firenze accolgono tutti) e qualcuno pagherà, hanno contratti di lavoro assolutamente ridicoli (assicurati per tre ore al giorno per cinque giorni alla settimana), vivono in case di proprietà del padrone, in dieci, quindici, infilati dentro a tramezzi di legno che separano un buco dall'altro (costruire tramezzi negli appartamenti, e nei capannoni, sembra sia una sapecialità dei padroni cinesi), senza il riscaldamento, l'acqua calda, la cucina (diventata camera), ma "cinese così". E tutti hanno il sogno di fare "capo" e avere operai nello stesso modo. E ridono alla parola "mafia". Ho cercato di approfondire, ma loro ridono. E come se si fossero messi tutti d'accordo negli anni, in classi diverse, nei livelli diversi, ridono. Solo una donna, da tanti anni in Italia senza documenti e non legata a capi di fabbriche e ristoranti, ma libera professionsta di strada (tatuaggi, animali con foglie di palma, qualche partitina a poker truccata nei giorni di pioggia -uomo piace giocare e donna tocca lui e guarda carte-) dice orgogliosa che in Cina lei "amici importanti mafia, sempre ristorante insieme, loro venire sempre mio negozio, io capo Cina, qui operaio". Insomma che il ridere sia il piangere e il piangere sia il ridere? Non ho mai visto un cinese piangere. Nemmeno i bambini. E i ristoranti cinesi, adesso, sono diventati giapponesi: i cuochi cinesi preparano il sushi, tanto "cucina cinese Italia, no buona, Italia piace, ma Cina tutto diverso".

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Sempre della serie: quanti soldi fanno gli italiani con l'illegalità, e lo sfruttamento fino alla resa in schiavitù, legata all'immigrazione? E non necessariamente quella clandestina, che nell'ultimo anno ha fatto registrare una netta diminuzione... Tanti! Troppi! Perchè se è vero che ad organizzare traffici e sfruttamento della manovalanza è il "padrone" cinese, è inequivocabilmente certo che la beneficiaria finale è sempre l'azienda italiana per la quale lavora il "padrone" cinese.
Gli schiavi cinesi lavorano per le aziende italiane, dalle grandi griffes (Prada, tanto per fare un nome, così come documentato in uno degli ultimi servizi di "Report") ai piccoli confezionisti. Prato rappresenta l'esempio più lampante di questa connivenza nell'illegalità, e se pensiamo a quanto sia importante questa connivenza per continuare a sostenere un'economia con le pezze al culo allora comprendiamo anche il perchè di tanto lassismo da parte delle autorità competenti.

Alfonso

Corleone Dialogos ha detto...

Daniela leggendo il tuo articolo che spero mi invii per metterlo nel nostro sito mi è venuto in mente se i cinesi che vivono a Palermo ridono come quelli fiorentini al pronunciamento della parola mafia. Perchè a Palermo la mafia è quella siciliana, quella che qualche anno fa ha fatto trovare a tutti i cinesi i negozi con le serrature piene di colla attack. Avvertimento! Bisogna pagare il pizzo. Insomma a Palermo i cinesi sono sotto il controllo di due mafie.

Anonimo ha detto...

BOLOGNA - Arrestata cinese per favoreggiamento immigrazione clandestina


Bologna, 30 gen. - (Adnkronos) - Un controllo in un capannone in via del Milliaio 40 effettuato dalla polizia di Bologna ha portato alla scoperta di 6 cittadini cinesi, irregolarmente in Italia (4 uomini e 2 donne) che dormivano nel sottotetto dell'edificio su giacigli di fortuna, in ambienti ricavati da divisori in legno