mercoledì 23 gennaio 2008

Afganistan-Grecia-Italia

Chi sono quegli autisti che -interrogati- hanno detto di aver controllato il loro tir, sia partendo dalla Grecia, sia arrivando ad Ancona? Chi ha legato il ragazzo afgano di 14 anni al telaio dell'autotreno? Non può "essersi legato", come ieri affermavano molti giornali. A chi ha dato i soldi per arrivare in Grecia? E a chi per arrivare ad Ancona? A quanti italiani direttamente o indirettamente sono finiti in tasca soldi insanguinati?

12 commenti:

Corleone Dialogos ha detto...

Ci sono storie che davvero fanno rabbrividire eppure non diventano notizie. Io dalla Sicilia non ho sentito dai telegiornali questa tragica storia. Storia simbolo di questo sfruttamento dei nuovi disperati, della nuova forma di schiavitù. Ecco perchè sono importanti blog e siti liberi.

Giuseppe Crapisi

alfonso ha detto...

La notizia effettivamente è passata sotto silenzio e non ha avuto risonanza nell'opinione pubblica: ma l'interesse "dell'opinione pubblica" è anche una cartina al tornasole della sua "sensilibità", ed è quindi una ulteriore rilevatore di quella decadenza etica che coinvolge noi tutti cittadini italiani e di cui ho detto in un precedente commento in questo blog. La "monnezza", sia quella materiale che quella politica e morale nella quale siamo sommersi, l'abbiamo creata noi "cittadini" (ma forse tali non vogliamo essere, preferendo di gran lunga l'essere "sudditi").
Sarebbe già importante, in questa situazione, se tanti più blog si aprissero alla riflessione e alla discussione su questi temi.

Alfonso

Homo Cinicus ha detto...

Casale

Concorso in favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. È l'accusa dalla quale dovranno difendersi, davanti al Tribunale collegiale, quattro persone, due uomini e due donne. Si tratta degli impresari monferrini Rosalda Scala, 53 anni, di Occimiano, e Luciano Grotto, 47 anni, di Casale, e di due loro collaboratori rumeni, Costantin Giurgiuveanu, 32 anni, già domiciliato a Ticineto, e Maria Floristean, 35 anni, abitante a Casale. Secondo l'accusa avrebbero fatto entrare clandestinamente sul territorio italiano un gruppo di cittadini rumeni per impiegarli alle loro dipendenze, facendoli lavorare in nero. Secondo gli inquirenti i quattro avrebbero agito per profitto, facendo venire in Italia 14 cittadini stranieri, promettendo loro un regolare contratto di lavoro come camionisti in modo da convincerli ad emigrare, indicandogli le modalità per entrare nel nostro Paese e organizzando il loro trasporto in Italia. Una volta a destinazione li avrebbero utilizzati in attività lavorative non in regola con le normative di settore, con conseguente risparmio su stipendi e contribuzioni. I fatti contestati sarebbero avvenuti nel periodo compreso tra gennaio e maggio 2003: a denunciarli furono i Carabinieri al termine di accurate indagini.

L'udienza del processo è fissata per il 2 ottobre prossimo.
fonte: ilmonferrato.it

hrubesh ha detto...

IMMIGRAZIONE CLANDESTINA: BLITZ DELLA MOBILE DI CASERTA
» pubblicato da Renato Cavallo in: Notizie < > Sabato 19 Gennaio 2008 alle 12:17

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Tutti clandestini. Mangiavano e dormivano nella stessa stanza dove fabbricavano scarpe. Alla vista della polizia, hanno tentato di fuggire disperdendosi nella boscaglia di Lusciano, in provincia di Caserta. Undici cinesi, cinque donne e sei uomini, sono stati di conseguenza fermati dalla squadra mobile della questura di Caserta e portati in commissariato per l’identificazione. L’operazione è scattata nell’ambito di una più ampia indagine finalizzata al contrasto dell’immigrazione clandestina. Il blitz è avvenuto ieri in una villa di via Chirico a Lusciano. Le persone identificate sono LI Shi Zhong, di 33 anni,, YAN Xiao Lan, 30, HUAN Hai Hua, 31, WEN Haiqun, 31, ZHEN Cun Cao, 31, LI Ciang, 33, YIAN Xiao Pin, 35, SUN Yon Cun, 36, ZHANG Jianbo, 23, YIAN Li Cu, 41, XU Cunjian, di 30. Durante il sopralluogo all’interno della villa, effettuato grazie all’ausilio della polizia scientifica, le forze dell’ordine sono riuscite ad accertare che tutti gli operai lavoravano dalla mattina alla sera, vivendo in condizioni precarie mangiando e dormendo negli stessi locali dei macchinari che servivano per il confezionamento delle scarpe. Pagati a cottimo, il compenso degli operai clandestini oscillava tra i 4 e i 5euro al giorno per quindici ore giornaliere di lavoro. In pratica, 50 centesimi per paio di scarpe.

hrubesh

Homo Cinicus ha detto...

CRONACA


OCCHIOBELLO (ROVIGO) - L'albanese all'ingresso è alto due metri, ha una faccia da "Ti spiezzo in due" ma la voce è gentile. "Signore, per entrare deve fare tessera. Dieci euro per ingresso e prima consumazione, poi 15 euro ogni venti minuti con ragazze. Mi dà documento, per favore?".

Anche l'Area Uno era un capannone industriale, un tempo. Adesso è un "circolo privato", un night, un posto da appuntamenti, un locale dove i "ragazzi" di venti o sessant'anni credono di andare a morose perché appena entri ci sono ragazze con scollatura alla godi o popolo e mini minigonne, che sorridono felici e dicono "che bello, Mario, sei tornato". Divanetti nascosti da piante finte, luci basse, un dj di 70 anni che mette cd con musiche che dovrebbero ricordare i night club di Via Veneto o il Lady Godiva del Grand hotel di Rimini. "Ma perché tu resti solo? Non offri da bere a me, così insieme parliamo?". Marja ha vent'anni, arriva dalla Romania. Alla ragazza puoi offrire anche un'acqua minerale o un succo di arancia, quello comprato a 0,80 al litro al discount, tanto sono sempre 15 euro.

"No, qui non c'è spettacolo. Ma vedi come noi ragazze siamo belle? Noi siamo già uno spettacolo".

Sembra di essere in treno, nell'ex capannone dell'Area Uno. Ogni venti minuti passa il barista-controllore, con quella pinza di metallo stile Fs, e fa un buco nella tesserina che era stata consegnata all'ingresso. In meno di un'ora, tre buchi sulla tessera: la prima consumazione solitaria, due in compagnia. Quaranta euro. Nessuno scontrino. Questo è un "circolo privato", aderente al "Cnsf Cartur, ente nazionale con finalità assistenziale". "Se vuoi - spiega l'albanese di due metri - tu puoi stare qui tutta sera con solo la prima consumazione. Che tristezza... Tutto da solo a guardare gli altri in bella compagnia".

Occhiobello è uno strano paese. C'è il centro, con la piazza Matteotti attaccata all'argine sinistro del Po, e una frazione che ha il nome di Santa Maria Maddalena che è diventata cinque o sei volte più grande del capoluogo. Qui comincia il Nordest, con i centri commerciali, le fabbriche, i venditori di auto e Suv, i supermercati, i vivai, gli spacci di salama da sugo e "pinzin", lo gnocco fritto. Un unico stradone affiancato da zone industriali che ha un primato nazionale: la più alta concentrazione di locali a luci rosse. Per 11.198 abitanti ci sono cinque night (Area Uno, Extra club, Incontro, Ovo sodo e Solo lei) e due locali per "scambisti", il Magic Moon e l'Elisir.



Insomma, una "piena" di ragazze arrivate da Romania, Russia, Ungheria, Bulgaria, Moldava, dopo quella che - c'è una lapide sul municipio - il 14 novembre 1951 "devastò il Polesine con impeto senza precedenti". Il bello è che, in paese, tutti fanno finta di nulla. "I locali a luci rosse? Non faccio dichiarazioni", mette le mani avanti il sindaco, Gigliola Natali, a capo di una giunta di centro sinistra. "Ma perché non parlate della nostra scuola di teatro, forse l'unica in tutto il Veneto? Perché non scrivete che i 300 posti del teatro comunale sono sempre pieni, e che la stagione sarà chiusa da Arnoldo Foà?".¨

Davanti all'ufficio del sindaco c'è un manifesto che invita a sabotare il turismo sessuale in Brasile.

"Insomma, la gente di Occhiobello si alza presto al mattino per andare a lavorare e la sera sta in famiglia. In tanti non sanno nemmeno che questi locali esistono. Noi siamo un paese di confine, fra il Veneto e l'Emilia. I clienti escono dal casello autostradale, vanno nei posti che già conoscono...". Certo, se le 70 ragazze che i carabinieri nei giorni scorsi hanno trovato al lavoro nei night del paese - assieme a 159 clienti - fossero in strada, con i falò e tutto in bella vista, ci sarebbero i comitati, le proteste... "Non faccio dichiarazioni", ripete il sindaco. Eppure, l'operazione "Luci rosse" dei carabinieri era stata accolta con un applauso, al convegno di Rovigo che celebrava la "giornata internazionale contro la violenza sulle donne".

"Io ho spiegato - dice il colonnello Luigi Lastella, comandante provinciale - che a Rovigo e provincia non si trovano prostitute in strada perché è nata quella "prostituzione invisibile" che è consumata in appartamenti, night club e alberghi. Ma basta cercare davvero, per togliere il velo. Una notte ho mandato 150 carabinieri, tutti alla stessa ora, nei 23 locali a luci rosse del rodigino (forse c'è la più alta concentrazione italiana) e abbiamo trovato, Occhiobello compreso, 248 ragazze e 479 clienti. Erano sorpresi, i proprietari e i gestori. Dicevano: questo è un circolo privato. Abbiamo identificato e interrogato tutti, scoprendo cose interessanti. Le entraîneuse risultano "socie" dei club, così come soci sono i clienti. Insomma, libere cittadine al servizio di liberi cittadini. Per questi circoli cosiddetti privati c'è un vuoto di legge ma noi pensiamo che anche oggi si possa fare qualcosa. Circolano molti soldi, le "socie" sono dipendenti in nero, c'è vendita di alcolici e nessuno paga tasse e contributi. È per questo che abbiamo chiesto l'intervento dell'ufficio del lavoro e dell'agenzia delle entrate, e abbiamo già i primi risultati".

I conti sono stati fatti, per ora, solo per 5 club dei 23 e già sono state elevate contravvenzioni per 190.334 euro. "Abbiamo notizia che dopo il nostro blitz quasi 200 di queste ragazze hanno chiesto il libretto di lavoro per mettersi in regola. Questo dimostra che i gestori ammettono di avere dipendenti e dunque un'attività commerciale. E allora sono necessarie le licenze, i contributi per i lavoratori, i bilanci... Bisogna recuperare anche gli anni di evasione. Credo che se in tutta Italia si svolgessero operazioni come questa, lo Stato incasserebbe un bel gruzzolo". Non tutte, ma molte - spiega il colonnello Lastella - sono anche prostitute. "C'è chi prende un appuntamento per quando il lavoro al club è finito, c'è invece chi si porta via la ragazza già a inizio serata, rimborsando il locale del mancato introito. Ogni ragazza rende almeno 50 euro all'ora, e per una serata "esclusiva" il cliente paga dai 250 ai 350 euro solo al padrone del night. Poi ci sono la cena, l'eventuale albergo e il costo del rapporto sessuale".

Si vedono solo di notte, le luci dell'eros. Spenti i neon delle industrie e dei supermercati, appaiono insegne e lanterne rosse. L'Incontro, primo locale aperto a Occhiobello dieci anni fa, è in un'ex falegnameria. "C'è troppa concorrenza", si lamentano i titolari, Nicoletta e Leonardo. "Ora non si vedono più signori in giacca e cravatta ma gente, giovani o anziani, che arrivano qui come se andassero al bar. C'è anche chi si addormenta durante lo spogliarello. Stanno tutti attenti ai soldi". Cinque euro per la tessera annuale (qui fanno parte della Federazione nazionale liberi circoli), dieci per la prima consumazione. Altri 10 euro ogni quarto d'ora, per la compagnia delle ragazze. "Le nostre ragazze - assicurano i titolari - con i clienti fanno solo chiacchiere. E hanno il contratto di "figuranti di sala".

Cosa facciano poi, le nostre cinnazze, dopo la chiusura, non è affare nostro. Stasera ci sono due italiane, due russe e una ungherese e sono adulte e vaccinate. Quando c'era solo il nostro locale potevamo permetterci la musica dal vivo. E c'erano clienti che si innamoravamo, venivano qui tutte le sere a trovare la loro "morosa" e alla fine se la sposavano pure". "Nei fine settimana - dice J., ventenne italiana - faccio lo spettacolo porno. Le altre sere? Mi faccio offrire da bere dai clienti. E dopo... Vuoi il numero di cellulare?".

Lanterne accese fino alle 4 o alle 5 del mattino. Marja la romena è ancora in attesa all'Area Uno. "Quasi tutti i clienti qui vogliono un appuntamento per dopo. Altre ragazze accettano, io no. Ho lavorato anche come barista. Mi hanno tenuto tre settimane in prova, non pagata. Dopo un giorno sapevo fare tutto ma alla fine mi hanno mandato a casa. Anche qui è dura. Nelle serate fiacche, quando nessun cliente mi offre da bere, non mi danno un euro. È giusto, no? Chi non lavora non mangia. Lo dite anche in Italia?".

(25 gennaio 2008)

silviodulivo ha detto...

Basta con questi copia incolla!
Silvio

Anonimo ha detto...

A proposito di copia e incolla: qualcuno si è accorto, un paio di mesi fa, che la Regione Sicilia ha presentato alla Commissione Europea il suo "Piano per il contenimento dei consumi energetici" con un semplice "copia e incolla" da quello presentato dalla Regione Veneto (peraltro bocciato dalla Commissione Europea), senza nemmeno preoccuparsi di fare le correzioni del caso.
Alfonso

Stranistranieri ha detto...

Alfonso sei un pozzo di notizie,ma come fai a sapere sempre tutto? questa del copia e incolla della regione Sicilia, è proprio carina! Io ho dei colleghi a scuola che siccome non sanno fare ne' una programmazione annuale, tantomeno scrivere un POF (piano offerta formativa), e addirittura nemmeno copia e incolla, che alla fine copiano pari pari dal cartaceo di qualcuno degli anni precedenti, infilano cose estranee senza nemmeno modificarle e poi sono sempre a lamentarsi che la scuola consuma. Pensa che fatica! E vorrebbero anche l'anno sabbatico.

Anonimo ha detto...

E' buffa, la notizia, ma a me fa incazzare: per questo "copia e incolla" sono state pagate consulenze a quattro docenti dell'Università di Palermo e tre alti funzionari della Regione Sicilia. Nessuno si sarebbe accorto di niente se si fossero preoccupati di cancellare frasi che parlavano di "inverni particolarmente rigidi", di "microclima padano" e soprattutto di cancellare i riferimenti al link della Regione Veneto.... il tutto è stato scoperto da un rappresentante della Lega Ambiente che ha subito fatto un esposto alla Procura di Palermo. Come pensate che andrà a finire?

p.s. La mia fonte di informazione è il web.

Alfonso

Anonimo ha detto...

Abbiamo tutti le mani insanguinate... non solo i diretti responsabili, i mercanti dei nuovi schiavi.
Le abbiamo tutti perchè mandiamo al governo gente che permette questo, perchè il nostro sguardo passa indifferente sulla loro miseria, perchè NOI ITALIANI difendiamo la NOSTRA Italia dall'invasore barbaro... la stessa Italia che lasciamo affogare sotto la spazzatura.
Chi ha il coraggio di scagliare la prima pietra?

Anonimo ha detto...

E' proprio vero che in ogni tragedia, la commedia si nasconde tra le pieghe (a proposito della Sicilia incolla Veneto)

Anonimo ha detto...

SCHIAVI SENZA VOCE
di: Massimiliano Perna - ilmegafono.org


Pubblicato il rapporto 2007 di Medici Senza Frontiere sulle condizioni dei lavoratori immigrati impiegati nell’agricoltura al Sud. Ancora una volta emerge una situazione di privazione totale dei diritti umani dietro la porta di casa nostra

Non è cambiato nulla. Dall’inchiesta-denuncia di Fabrizio Gatti su L’espresso, dall’intervento di Medici Senza Frontiere, che nel 2004 aveva visitato le campagne del Meridione per prestare assistenza ai lavoratori immigrati, nessun passo avanti, tutto è tornato, o meglio è rimasto, come prima. Questo è quanto emerge dall’ultimo «Rapporto 2007 sulle condizioni degli immigrati impiegati in agricoltura nelle regioni del Sud Italia», pubblicato da Msf, i cui operatori hanno visitato le zone agricole più importanti del nostro Paese, riscontrando una situazione di negazione totale dei diritti umani, di mortificazione della dignità delle persone, costrette a vivere ai limiti della sopravvivenza.

Regolari e soprattutto irregolari, ma anche nuovi comunitari (in prevalenza bulgari e rumeni di etnia Rom) e, addirittura, richiedenti asilo, costretti a lavorare in regime di assoluto sfruttamento, destinati a sfinirsi nel lavoro agricolo per raggranellare quei pochi euro da mettere da parte per poi spedirli alle famiglie rimaste nei paesi d’origine. Anche se da parte non si riesce a mettere quasi nulla (il 38% degli intervistati da Msf non vi riesce), perché i soldi servono a stento per sopravvivere. Sì, perché non si può parlare di vivere, quando ci si trova in condizioni abitative, igieniche, alimentari, di salute lontanissime da ogni livello minimo esistente nella società del benessere, in quella realtà occidentale ed italiana in cui consumo e mercato nascondono ogni cosa, in cui gran parte dei media cercano solo la «notizia», infilando in un cestino o lasciando marcire in un cassetto tutto ciò che ha a che fare con l’essere umano vero e proprio, con l’esperienza vitale di migliaia di persone senza voce, che sono solo una piccola parte di un’intera fetta di umanità disperata e silenziosa, di milioni di abitanti di questo pianeta che sono costretti a faticare, a rinunciare a tutto, ad abbandonare tutto, a morire, per cercare di sopravvivere il più a lungo possibile o per sfamare i propri cari.

Figli di guerre, fame, povertà, obbligati a sacrificare le proprie braccia e i propri corpi per permettere a noi, che abitiamo al caldo e che sprechiamo quintali di cibo e litri e litri di acqua, di continuare a godere del benessere a cui non sappiamo più rinunciare, di avere sulle nostre tavole i prodotti a cui siamo più affezionati. Le campagne del Meridione, così come i cantieri edili di tutta Italia, sono l’epicentro dello sfruttamento e della violenza, sono la dimostrazione più dolorosa di un mondo che in nome del profitto passa sopra la vita di chiunque, specialmente se chiunque non ha documenti, tutele, garanzie, mezzi per potersi difendere. E’ la linea sporca e fetida di quei colletti bianchi che girano in Suv e che mandano i loro figli nelle migliori università, quelli che viaggiano, conoscono le mete più esotiche, frequentano i salotti bene, frequentano la Chiesa e fingono di essere buoni esempi.

Sono i proprietari terrieri, quelli che da sempre amano servirsi del caporalato, quelli che denunciano anonimamente alla polizia gli immigrati irregolari il giorno prima o lo stesso in cui è prevista la paga, così da liberarsi strategicamente di lavoratori che per una o due settimane sono stati curvi nelle campagne a raccogliere a costo zero. Gli stessi che spesso non pagano nemmeno per mesi il lavoratore, facendolo lavorare gratis sotto minaccia. Il rapporto di Msf, mostra come dal Lazio alla Campania, dalla Puglia alla Basilicata, dalla Calabria alla Sicilia, gli immigrati stagionali, in prevalenza irregolari, subiscano totalmente le vessazioni dei padroni. Lavoro nero, con giornate lavorative che raggiungono (e superano anche) le 10 ore, in assenza totale di condizioni di sicurezza.

I lavoratori lavorano a contatto con pesticidi e altri agenti infettivi, vengono fatti entrare nelle serre anche immediatamente dopo che sono stati usati prodotti chimici, non vengono quasi mai dotati di attrezzature da lavoro (in ogni caso vengono forniti solo guanti e comunque inadeguati al tipo di attività), non vengono portati al Pronto Soccorso quando si verifica un incidente. Schiavismo, senza troppi giri di parole, vergognoso schiavismo, che si consuma dietro casa nostra, che spruzza il suo sudore ed il suo sangue dentro i pori dei prodotti che gustiamo sulla nostra tavola senza pensare a nulla, indifferenti, tutti impegnati a nascondere le nostre teste sotto la sabbia. E non mangiamo solo il frutto di un sistema di lavoro schiavista, ma anche il dolore e la dignità di chi è costretto a vivere in condizioni estreme.

Dal rapporto emerge quanto già raccontato in passato da Fabrizio Gatti, nel suo reportage dalle campagne del foggiano, o da Giovanni Bellu nei suoi articoli sulla situazione identica di Cassibile (Siracusa). Gli stagionali dormono in strutture abbandonate o in baracche improvvisate, sotto alberi diventati capanne con l’aiuto di qualche pezzo di cellophane o di plastica, in tuguri da condividere con tanti altri (in molti casi con più di dieci persone), addirittura all’aperto, per strada o nelle piazze, come accade ad Alcamo (Trapani). Niente acqua, niente luce, niente servizi igienici, bisogna camminare per chilometri per rifornirsi di acqua. Ci si lava all’aperto, i bisogni fisiologici vengono soddisfatti nella terra, si beve acqua che spesso non è potabile, si mangia poco e male, non c’è la minima assistenza sanitaria, non c’è informazione sui servizi a cui tutti, anche gli immigrati irregolari, hanno diritto.

Coloro che godono del permesso di soggiorno hanno diritto ad avere la tessera sanitaria ed a godere dell’assistenza medica, ma anche chi è presente irregolarmente ha il diritto di essere curato, anonimamente, senza che la struttura coinvolga le forze dell’ordine. Purtroppo, però, come ci ha raccontato Gatti, spesso questo segreto viene meno e la polizia viene indebitamente avvisata, motivo per cui gli irregolari hanno paura a farsi assistere dai presidi medico ospedalieri. E poi c’è la questione dei neo comunitari, i quali sono quelli con meno diritti, perché la normativa non è stata ancora adeguata alla nuova situazione. E le malattie più frequenti, secondo l’analisi effettuata da Msf, sono proprio la conseguenza diretta delle condizioni di lavoro e di vita degli immigrati stagionali: malattie osteomuscolari, dermatologiche, respiratorie, gastroenteriche, malattie del cavo orale, malattie infettive.

Accanto a ciò si aggiungano le violenze a cui sono soggetti gli immigrati, violenze commesse dai datori di lavoro ma anche dai giovani italiani, animati da un razzismo incontrollabile e da cervelli in costante decomposizione. Vivere ai margini purtroppo significa confrontarsi con tutte le periferie peggiori della natura umana. E questi margini si perpetuano da anni, nonostante le denunce, i rapporti, gli articoli scritti, le proteste di poche anime sensibili. Lo sanno tutti quello che avviene sulla pelle dei migranti, lo sappiamo tutti, ma nessuno fa nulla, le istituzioni tacciono, le associazioni di categoria smentiscono o minimizzano, i sindacati parlano (ogni tanto), dicono, intendono, ma non fanno nulla. Assenti.

Forse aspettano (come dichiarò due anni fa una rappresentante della Flai-Cgil di Siracusa) che i lavoratori, magari irregolari, prendano coraggio, facciano una decina di chilometri a piedi e si rechino dal sindacato (della cui presenza e caratteristiche magari sono a conoscenza) a raccontare tutto, senza timore. Utopia? No, follia solo pensarlo, eppure c’è chi davvero lo crede possibile. Dopo il rapporto di Msf, cosa accadrà? Nulla, anche perché non se ne parla, visto che gli immigrati qui sono le vittime, non hanno rapinato nessuna villa, aggredito nessuno, ucciso nessuno. Non si può dare spazio a queste cose, perché la notizia non servirebbe a chi ha bisogno di sostenere l’idea falsa dell’emergenza sicurezza. Con quale faccia si potrebbe dire che la famosa frase «Italiani brava gente» è una corbelleria che non ha nessun fondo di verità?

Meglio tacere, meglio continuare a credere nella bontà ed ingenuità di un popolo che, nella realtà della sua storia, ha appoggiato tutti i crimini peggiori, esaltato i criminali e isolato o ucciso i suoi figli migliori. Meglio perpetuare l’immagine dell’Italia ospitale, di una terra di frontiera che, nella realtà, ha sempre accolto solo coloro che avevano caratteristiche comuni, valori condivisi o comunque conciliabili con le nostre presuntuose certezze, mentre ha respinto con arroganza inaudita tutto ciò che sbrigativamente è definito «diverso». A questo tipo di Paese che chiude gli occhi davanti a sé stesso, che rifiuta la ricchezza culturale proveniente dall’Altro, che si trincera in un patriottismo retrò dal sapore di sangue, che ha deciso di nascondere sotto il tappeto del benessere e del consumismo la realtà della vita e della miseria, non mi sento di appartenere.


Creato da mariaricciardig
Ultima modifica 2008-02-11 00:41