mercoledì 13 febbraio 2008

Una poesia che non è d'amore

Non occorre esser stanza
nè maniero
per esser infestati da fantasmi.
la mente
ha immateriali corridoi
ad essi più propizi.
Ha meno rischio
imbattersi di notte
nello spettro di fuori
che di dentro
a fronte averlo
ospite gelido.
Meglio al galoppo una badia fuggire
da macigni inseguiti
che incontrare
senz'un'arma
se stessi
in solitudine.
Noi
dietro noi celati
è ambascia estrema:
un assassino in stanza è men tremendo.
Il corpo abbranca una pistola
sbarra la porta
e ad un fantasma formidabile
attenzione non pone
o forse a più...

Emily Dickenson
(da "Dietro la porta", traduzione di Luciano Parinetto)

5 commenti:

Anonimo ha detto...

ma che vi è preso a tutti?

Homo Cinicus

Homo Cinicus ha detto...

Poesia che è d'amore.

Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona...
Qualcuno era comunista perché era così affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l'operaio.
Qualcuno era comunista perché c'era il Grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista malgrado ci fosse il Grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista perché abbiamo avuto il peggiore partito socialista d'Europa!
Qualcuno era comunista perché lo Stato, peggio che da noi, solo l'Uganda...
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di quarant'anni di governi democristiani incapaci e mafiosi.
Qualcuno era comunista perché Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l'Italicus, Ustica, eccetera, eccetera, eccetera!...
Qualcuno era comunista perché chi era contro, era comunista!
Qualcuno era comunista perché non sopportava più quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia!
Qualcuno, qualcuno credeva di essere comunista, e forse era qualcos'altro.
Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana.
Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.
Perché forse era solo una forza, un volo, un sogno.
Era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.
Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come più di se stesso: era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana, e dall'altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo, per cambiare veramente la vita.
E ora?
Anche ora ci si sente in due: da una parte l'uomo inserito, che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana, e dall'altra il gabbiano, senza più neanche l'intenzione del volo. Perché ormai il sogno si è rattrappito.
Due miserie in un corpo solo.
GIORGIO GABER

Stranistranieri ha detto...

Sarebbe stato bello avessimo avuto esempi di vita comunista felice. Avremmo continuato a cercare e sperare, invece nemmeno questa!Ci tocca sempre fare i conti con il triste e borghese "IO"

Anonimo ha detto...

Non importa. Al diavolo il comunismo e la falce e martello!
Quel che importa è il "perchè" eravamo comunisti. Quel "perchè" vale ancora. Tiriamoci su le maniche e ricominciamo daccapo, per una prospettiva diversa ma per lo stesso bisogno.

Homo Cinicus

Anonimo ha detto...

A Cagliari, primo caso di impianto rifiutato
Simona è una donna che ha detto no. Ha rifiutato l’impianto del suo embrione. Ha violato la legge 40. Anzi, ha deciso di sfidare la legge sulla fecondazione assistita che impone alla donna il trasferimento nell’utero di ogni embrione prodotto, sano o malato che sia. E Simona, 35 anni, casalinga, e Pietro, suo marito, infermiere, sono portatori sani di talassemia, quindi gravemente a rischio di trasmettere la malattia al loro bambino. Così Simona ha detto no. È la prima volta in Italia. È il primo caso di violazione palese e dichiarata della nuova legge. «O fate la diagnosi pre-impianto, o rifiuto il trasferimento dentro di me dell’embrione, non potrei sostenere, ad un anno di distanza, un nuovo aborto dopo aver scoperto che il figlio che porto dentro di me è malato. Ho visto troppi bambini morire di talassemia dopo sofferenze tremende. Non voglio creare una vita così. Ma l’unica scelta per me di fronte a questa legge assurda è affrontare una interruzione volontaria di gravidanza alla decima o all’undicesima settimana. No, basta. Non posso più abortire. Non ce la faccio. E nessuno, credo, può con la forza costringermi ad impiantare l’embrione».
L’articolo di Maria Novella De Luca per Repubblica sul sito del Comitato per il Sì

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