Rischiando ancora una volta che il dibattito sulla questione sia circoscritto a me e ad Alfonso, non posso comunque esimermi dal raccontare un episodio che ho letto stamattina.
A Macerata una donna afgana con figli minori, è stata presa a pugni e calci dal marito perchè "pretendeva" di non portare il velo in casa. L'ennesima aggressione, come è riuscita a raccontare alla polizia dopo essere stata dimessa dal Pronto Soccorso. E il fatto sarebbe passato sotto silenzio se i vicini non avessero sentito le grida e le ferite non fossero state così profonde. La donna, interrogata dagli agenti ha deciso di confessare. Cosa succederà adesso? Dovrà tornare in famiglia? Oppure il marito sarà allontanato dal tetto coniugale come prevede la legge italiana e la donna sarà esposta alle persecuzioni dei parenti? Qualsiasi cosa succederà per lei e per i suoi figli sarà terribile gestire il possibile cambiamento. Ma che almeno queste esplosioni servano ad intraprendere il cammino -lunghissimo- verso la possibilità che simili reati ad opera di mariti violenti, vengano puniti secondo le leggi civili dei paesi ospitanti e che il silenzio obbligato delle donne nel paese di origine sia riscattato dai diritti acquisiti come immigrati regolari "e integrati nel territorio" (come recita il trafiletto su La Repubblica) e dal diritto di essere "persone" regolari e non.
12 commenti:
L’ultima trovata del governo è una delle più vergognose. Spulciando i complicati numeri relativi alle misure finanziarie per il taglio dell’Ici si scopre infatti che tra i capitoli di spesa tagliati per recuperare soldi c’è pure il Fondo per le donne vittime di violenza. Lo aveva istituito Prodi nell’ultima finanziaria: 20 milioni di euro destinati al sostegno delle vittime e alla prevenzione.
Durante la scorsa legislatura, la Camera aveva approvato la seguente mozione:
MOZIONE CONCERNENTE LA CRESCITA’ ESPONENZIALE DEL FENOMENO DELLA
VIOLENZA SULLE DONNE ALL’INTERNO DELLE MURA DOMESTICHE COLLEGATO ALLA CIECA E IRRAGIONEVOLE SOTTOMISSIONE A PRECETTI FANATICO RELIGIOSI
La Camera,
premesso che:
• i recenti fatti di sangue che hanno visto tre donne straniere residenti in Italia vittime di
una violenza armata dalla sottomissione irragionevole a dettami fanatico religiosi,
meritano giustizia e attenzione: Hina, uccisa selvaggiamente dalla sua famiglia perché
colpevole di essersi troppo «occidentalizzata», Maha, tunisina, picchiata a sangue
perché osava uscire senza il consenso della famiglia e Khaur costretta al suicidio come
unica via di fuga da un matrimonio combinato impostole dalla sua famiglia; sono
soltanto gli ultimi tristi episodi di una diffusa e allarmante ferocia nei confronti di donne
che osano ribellarsi al teodispotismo coranico;
• secondo un sondaggio condotto da Al Maghrebiya, unico organo di informazione in
lingua araba diffuso in tutto il territorio nazionale, l'85 per cento delle donne di fede
musulmana, che vive in Italia, ritiene la situazione dei diritti e delle libertà individuali
del tutto insoddisfacente, anche a causa di interpretazioni forzate dei precetti islamici, e
che il velo sia uno strumento di sottomissione e di controllo da parte della comunità
maschile, che viene indossato esclusivamente «per timore»;
• i dati raccolti da associazioni di rappresentanza del mondo femminile islamico segnalano
che l'86 per cento delle donne islamiche presenti in Italia sono analfabete e non
conoscono il sistema alfanumerico; l'80 per cento non esce di casa se non
accompagnata da figure maschili della famiglia di appartenenza; solo il 10 per cento
delle 400.000 donne islamiche presenti in Italia conduce una vita, che, secondo gli
standard socio-statistici, potrebbe definirsi normale;
• nelle famiglie di immigrati di fede islamica emerge una profonda disparità di diritti tra
uomo e donna e nell'educazione dei figli, nonché la mancanza di un'istruzione
adeguata; sono sempre più diffuse le denunce da parte di donne di fede islamica che
lamentano una scarsa attenzione del nostro Paese ad episodi di maltrattamenti
conseguenti ad unioni poligamiche;
• il maschilismo e la misoginia, mascherati da precetti religiosi, sono la causa di queste
tragedie femminili legate a matrimoni combinati, a matrimoni poligamici e all'assoluto
divieto della loro integrazione in seno alla società italiana;
• tali atti si indirizzano, soprattutto, nei confronti delle donne e dei soggetti, che, in
questi contesti, vivono in una condizione di debolezza e di minorità;
• sul nostro territorio si moltiplicano le denunce di donne extracomunitarie di religione
islamica vittime di matrimoni poligamici, celebrati in centri di preghiera autorizzati dallo
Stato a svolgere una libera attività associativa, ma senza alcuna autorità giuridica che
ponga in essere un'unione che possa essere considerata valida dallo Stato. Secondo i
firmatari del presente atto di indirizzo, questi matrimoni sostanziano non solo una grave
violazione dell'ordinamento penale italiano, ma anche una grave lesione della dignità
umana delle donne musulmane presenti in Italia, poiché spesso esse ignorano la «non
validità» dell'unione ufficializzata in moschea, subendone comunque le conseguenze in
caso di ripudio;
• presso il ministero dell'interno è istituito, con funzioni meramente consultive, un organo
composto da alcuni soggetti individuati dal ministero stesso tra i tanti in Italia che
professano il credo islamico - in modi per natura diversi, poiché non esiste un organo
normativo nell'islam, ma la pratica religiosa si basa soltanto sull'interpretazione del
corano -
a giudizio dei sottoscrittori del presente atto, è inaccettabile che la Consulta per l'islam
italiano, istituita con decreto del Ministro dell'interno, che tanta influenza dovrebbe
avere sulle comunità musulmane presenti nel nostro Paese nella ricerca della
mediazione e del dialogo, non abbia ancora stigmatizzato l'accaduto e preso
ufficialmente una posizione netta di condanna nei confronti di episodi di tale gravità;
• la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle
donne adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1979, ratificata
dall'Italia nel 1985, rappresenta uno degli strumenti di diritto internazionale più
importanti in materia di tutela dei diritti umani delle donne. La Convenzione impegna gli
Stati che l'hanno sottoscritta ad eliminare tutte le forme di discriminazione contro le
donne, nell'esercizio dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, indicando una
serie di misure cui gli Stati devono attenersi per il raggiungimento di una piena e
sostanziale uguaglianza fra donne e uomini;
• la violenza sulle donne è purtroppo ad oggi ancora una delle forme di violazione dei
diritti umani più diffusa ed occulta nel mondo;
• siamo chiamati a rispondere a tutto ciò con la forza generata dalla nostra identità e dai
valori di eguaglianza che nascono da tutta la nostra tradizione storica, con la
consapevolezza che dignità e diritti sono elementi su cui non è possibile scendere a
patti;
• i diritti delle donne costituiscono parte integrante ed inalienabile di quel patrimonio di
diritti universali in cui si riconoscono le moderne società democratiche;
impegna il Governo:
a promuovere iniziative, anche legislative, volte a tutelare ed a garantire sul territorio
nazionale il rispetto dei diritti umani e civili delle donne extracomunitarie presenti in Italia, in
particolar modo attraverso la promozione di un programma di educazione e formazione ai
diritti umani per tutti gli ordini di scuole;
a promuovere un miglioramento delle condizioni di vita delle donne extracomunitarie,
attraverso specifici corsi di alfabetizzazione in italiano, programmi di inserimento nel mondo
lavorativo ed imprenditoriale, oltre a specifiche campagne di sensibilizzazione che permettano
alle donne interessate di conoscere i propri diritti e i possibili strumenti di autotutela;
ad istituire un telefono multilingue che renda più agevole alle donne extracomunitarie
denunciare la propria condizione di disagio sociale, fisico, psichico;
a lanciare iniziative pubbliche di sensibilizzazione e ad istituire una rete di centri d'ascolto per
le donne che vivono tali realtà di sopraffazione e violenza;
ad inserire nel prossimo Ordine del Giorno dedicato agli incontri con la Consulta Islamica, la
discussione di questa importante problematica e di conseguenza a sollecitare la redazione di un
documento ufficiale che condanni in modo inequivocabile la poligamia e tutte le violazioni della
libertà individuale della donna in nome di precetti dogmatici religiosi;
ad escludere dalla Consulta islamica e a monitorare l’attività di tutte quelle associazioni di
rappresentanza che pongano in essere comportamenti contrari ai principi dell'ordinamento
giuridico italiano, in generale, e della condizione della donna extracomunitaria, in particolare.
Per forza il dibattito è limitato: Alfonso ci stronca con questi romanzi! E facci una sintesi, no?
Credo che la maggior parte delle donne vittime di violenza siano extracomunitarie e che per loro il cammino post-violenza sia ancora più difficile che per le donne italiane. La risposta dello stato è, come al solito, insufficiente. Forse dovrebbe dedicarsi di più, lo stato, a svolgere bene questi compiti e lasciar perdere tutto ciò che non è in grado di fare (dall'Alitalia in giù).
La Toscana (l'ho già detto forse?) si sta preparando ad istituire una rete antiviolenza formata da vari organi pubblici, associazioni di volontariato, ecc. Ci vorrà tempo, vedremo. La Provincia di Firenze, (Commissione Pari opportunità 055/2760428)ha stampato una guida pratica con l'indicazione di strutture, centri e servizi per le donne in difficoltà.
Esiste anche un numero verde, multilingue, attivo 24 ore su 24. Numero Antiviolenza Donna: 1522
Il problema è che a furia di sintetizzare si finisce col non capire più niente (telegiornali docet): infatti Silvio, che ama la sintesi, pensa che “la maggior parte delle donne vittime di violenza siano extracomunitarie”. In Italia, l’anno scorso, un milione di donne ha subito violenza, fisica o sessuale (le donne straniere in Italia sono solo quattrocentomila). Solo nei primi sei mesi del 2007 ne sono state uccise 62, 141 sono state oggetto di tentato omicidio, 1805 sono state abusate, 10.383 sono state vittime di pugni, botte, bruciature, ossa rotte. Leggevamo che le donne subiscono violenza nei luoghi di guerra, nei paesi dove c'è odio razziale, dove c'è povertà, ignoranza, non da noi. Il pericolo per le donne è la strada, la notte, ma lo è molto di più, la normalità. Se nel consolante immaginario collettivo la violenza è quella del bruto appostato nella strada buia, le statistiche ci rimandano a una verità molto più brutale: che la violenza sta in casa, nella coppia, nella famiglia, solida o dissestata, borghese o povera.
L'indagine Istat del 2006, denuncia che il 62 per cento delle donne è maltrattata dal partner o da persona conosciuta, che diventa il 68,3 per cento nei casi di violenza sessuale, e il 69,7 per cento per lo stupro. E’ la famiglia il luogo più pericoloso per le donne. È lì che subiscono violenza di ogni tipo fino a perdere la vita. In Italia, l'indagine Istat ha contato 2 milioni e 77mila casi di questi comportamenti persecutori, stalking come viene chiamato dal termine inglese, uno sfinimento quotidiano che finisce per corrodere resistenza, difesa, voglia di vivere.
I venti milioni di euro che, nell’ultima finanziaria, il governo Prodi aveva stanziato a favore delle tante associazioni che si occupano del problema, che cercano di costituire una rete di solidarietà, almeno quella, sono andati in fumo solo per assecondare una manovra assolutamente propagandistica. E’ questo che fa rabbia, è andato in fumo uno stanziamento destinato a quell’emergenza non riconosciuta come tale, per finanziare un provvedimento (il taglio di mezza ICI) che nessun risultato porterà nell’alleviare le sofferenze economiche di milioni di famiglie. E’ solo propaganda. Ma ve lo ricordate quel che accadde dopo l’uccisione della signora Reggiani? Il “problema” ero lo zingaro, e non la “violenza sulle donne”.
Mah. Un conto sono i numeri relativi, un conto i numeri assoluti, quelli che riporti te. In ogni caso è difficile fare statistiche in questi casi: la violenza si nasconde nelle case, come dici te, dunque è difficile che emerga. Tanto più è difficile che emerga dove la condizione della donna è di maggior inferiorità, come è il caso di molte donne extracomunitarie (termine generico anche questo, naturalmente; bisognerebbe distinguere tra culture: immagino che ci siano gruppi etnici dove il problema è relativamente meno rilevante)
Purtroppo i numeri dell’ISTAT che ho citato non sono assoluti, sono anch’essi relativi. Si riferiscono ai soli casi denunciati o conosciuti attraverso le varie associazioni (“Telefono Rosa”, “Nondasola” eccetera).
Questo vuol dire almeno due cose: primo, che il numero dei casi è molto più alto; secondo, che se è difficile che la violenza domestica “emerga” fra le donne extracomunitarie, vuol dire che quel milione di donne sono in grandissima parte italiane. I dati dell’ISTAT e del Viminale dicono che da noi la violenza è la prima causa di morte o invalidità permanente delle donne tra i 14 e i 50 anni. Più del cancro. Più degli incidenti stradali. Una piaga sociale, come le morti sul lavoro e la mafia.
E’ proprio la caratteristica “privata” di questa piaga, che rende preziosissimo il lavoro delle associazioni sul territorio. Il taglio del governo di quei venti milioni potrebbe non consentire più l’esistenza dei numeri verdi, dell'informazione a quante si sentono minacciate, dei centri antiviolenza, delle case per le donne maltrattate e offese, del monitoraggio del fenomeno. Di certo non le aiuta.
Io, forse, non ho il dono della sintesi, allora ne approfitto per aggiungere un altro tassello alla discussione: ricordo di aver partecipato, nella primavera del 1988, ad una grande manifestazione a Roma per sollecitare l’approvazione di una nuova legge sulla violenza sessuale, che da undici anni non passava l’esame del Parlamento. I punti critici, l’intoppo, erano due: la violenza sessuale come reato contro la “persona” e non contro “la moralità pubblica e il buon costume”, e l’introduzione del reato di violenza sessuale anche nell’ambito del matrimonio. Da quella manifestazione passarono altri otto anni prima che, nel 1996, si arrivasse finalmente ad una legge coerente con quei contenuti.
In questo Paese abbiamo impiegato diciannove anni per arrivare a considerare la violenza sessuale un reato contro “la persona” e non, com’è stato fino al ’96, un delitto “contro la moralità pubblica”.
E ci siamo arrivati, appena, dodici anni fa! Questo la dice lunga sul contesto generale nel quale la piaga della violenza sulle donne si consuma.
A parte i finanziamenti per i numeri verdi e i centri antiviolenza che sarebbero estremamente importanti, quello che manca ormai da molti anni è la partecipazione delle donne alle lotte che sostengono i diritti civili e difendono le condizioni di vita più deboli. A Firenze, Il giardino dei ciliegi, è il luogo dove convergono tante attività e dibattiti sulla condizione femminile, ma è raro incontrarci ragazze giovani, sia che si parli della 194, sia che si parli di Storia della critica letteraria femminile, sia che arrivi qualche scrittrice famosa. Si contano sulle dita. E dove non c'è un apporto nuovo, di ricambio, le idee non hanno la forza di alimentare battaglie. La violenza sulle donne fuori e nelle case, può dilagare proprio perchè ormai le idee di parità e di uguaglianza ognuna le coltiva a casa (o le dà per scontate e quindi non importanti)nel proprio orticello anche se infestato da parassiti?
Perfettamente d'accordo. Che fare?
Proviamo a porre questa domanda e vediamo che discussione ne viene fuori.
Di fronte a questi episodi, alla brutale ignoranza e cattiveria, credo nella legge del taglione. Se la donna da sola non ce la fa, ci vorrebbe qualcuno con lei per pestare il marito.
Poi, a bocce ferme, se ne può parlare. Così lui avrà un'idea un po' più chiara della situazione.
Il linguaggio nelle sue varie forme, deve essere adeguato alle maniere di espressione del nostro interlocutore, se vogliamo essere compresi.
Suvvia, pestare il marito! Cerchiamo di non esser sempre tutti provocatòri altrimenti non comunichiamo più.
Forse le giovani non bazzicano più il Giardino dei ciliegi a firenze perché hanno altri modi e altri luoghi nei quali si impegnano. Più frequentemente NON si impegnano affatto. Magari un domani saranno le donne straniere in Italia a combattere le battaglie, come fa per esempio la scrittrice somala Ayaan Hirsi Ali in Olanda
"Il mio governo che non può che compiacere ( leggi il significato etimologico della parola n.d.r) il Pontefice e la Chiesa».Silvio Berlusconi, 06 giugno 2008
Pubblica moralità.
I presidenti delle commissioni Giustizia e Affari costituzionali del Senato, Filippo Berselli e Carlo Vizzini, hanno presentato un emendamento al cosidetto Pacchetto Sicurezza (leggi il testo completo) per inserire nell'elenco dei "soggetti pericolosi per la sicurezza e la pubblica moralità" le prostitute. Dunque " chi vive del provento della propria prostituzione e venga colto nel palese esercizio di detta attività" devrebbe essere sottoposto a misure di legge pari a quelle applicate agli " oziosi e vagabondi, di chi pratica traffici illeciti, dei delinquenti abituali, degli sfruttatori di prostitute e minori, degli spacciatori".
Neppure un paese bigotto e ipocrita come il nostro merita un provvedimento tanto retrivo, codino e tristo. Felici coloro che dopo aver comprato e stuprato per 10 € una 'clandestina' nigeriana potranno sentirsi povere vittime irretite e corrotte da una criminale pericolosa addirittura per la sicurezza, e affrancati da ogni remora e ogni residuo spunto di umanità potranno, con un paio di avemmarie e una chiamata al 113 levarsi rispettivamente il senso di colpa e lo spettacolo indegno del mercato della carne sotto casa. (r.a)
da "Democrazialegalità" giornale on-line diretto da Elio Veltri
Seguendo la regola del "quel che è fatto è reso" ci vorrebbero le ronde pestamarito e allora sarebbe davvero troppo!
Merzagora: nel 2006 uccise in famiglia 134 donne oltre
Il 90% delle donne che subisce abusi non fa denuncia
Milano, 6 giu. (Apcom) - "Nel 2006, ultimo anno preso in esame, in Italia le donne assassinate in famiglia sono state 134, si tratta del numero più alto registrato negli ultimi 20 anni e Milano e la Lombardia sono le zona più a rischio" è quanto ha affermato, citando il rapporto Eures, Isabella Merzagora Betsos, tra l'altro docente di Criminologia presso la Facoltà di Medicina dell'Università degli Studi di Milano, parlando a margine del convegno "Il rilevamento della violenza contro le donne" organizzato nel capoluogo lombardo dalla Provincia di Milano. Unica nota positiva, se così si può definire, per il "femmicidio in famiglia" l'Italia è agli ultimi posti in Europa, in una drammatica classifica che vede in testa i Paesi del Nord.
"Dal primo gennaio 2008 al 'Soccorso violenze sessuali'(Svs) dell'ospedale Policlinico Mangiagalli di Milano abbiamo avuto già 154 accessi (di cui più della metà sono minori) provenienti da tutta Lombardia anche se la maggior parte dei casi vengono dalla metropoli" spiega ad Apcom Donatella Galloni assistente sociale della Asl Milano, sottolineando come i casi di stupro siano in costante aumento e siano decuplicati negli ultimi 10 anni e riguardino vittime di tutte le età (anche se la fascia più colpita è quella tra i 18 ei 24 anni) in maggior numero italiane, nella maggioranza dei casi abusate da conoscenti, anche occasionali.
Ma omicidi e stupri sono solo gli aspetti più eclatanti della violenza domestica che ha come vittime le donne, come emerge con chiarezza dalla ricerca svolta presso l'ospedale Sacco e il Policlinico di Milano, nell'ambito del progetto europeo "Svela" (cofinanziato dall'Ue) che ha visto riuniti a Milano istituzioni, specialisti, associazioni e personalità di Spagna, Svezia, Grecia, Gran Bretagna, Germania, Estonia, Ungheria, Romania, Francia, Finlandia e Olanda riunitisi al CentroCongressi di via Corridoni su invito dell'assessore ai diritti dei cittadini della Provincia di Milano, Francesca Corso.
La ricerca evidenzia che tra dicembre 2006 e dicembre 2007, contro donne di età comprese tra i 18 e i 64 anni, i casi di violenza dichiarata sono stati 207 (72 per stupro) e quelli sospetti 96, tutti commessi da partner, ex partner e/o altre persone della cerchia famigliare. Per il 45,9% dei casi le donne che hanno evidenziato violenze erano italiane, per il 25,1% di origine centro-sud americana e per il resto principalmente di provenienza rumena o bulgara. Il 20% delle 207 donne che si sono presentate ai pronto soccorsi hanno lasciato l'ospedale dopo le cure immediate rifiutando ulteriore assistenza, mentre il 50% circa ha accettato il sostegno e l'aiuto legale arrivando a denunciare il responsabile. A conferma dei dati Istat secondo i quali il 93% dei casi di violenza tra le mura domestiche non viene denunciato, la ricerca calcola che i casi stimati di donne vittime di violenza-non sessuale nel biennio 2006-2007 sarebbero ben 1152. Dunque gli abusi, di qualsiasi tipo possano essere, rimangono sommersi e non svelati.
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