sabato 24 maggio 2008

La faccia nascosta


E' di oggi la notizia che un poliziotto, o qualcuno in divisa non si è capito bene, ha fermato, a Firenze, due donne egiziane di cui si potevano vedere solo gli occhi. Il poliziotto avrebbe detto gentilmente che qui in Italia si deve camminare a viso scoperto. Grande levata di scudi da parte di tutte quelle organizzazioni che si ergono in difesa anche di una foglia un po' smossa nel caso copra qualcosa ritenuto religiosamente scabroso. Grande trauma subito dalle due donne che avrebbero esclamato: se avessimo saputo non saremmo venute in Italia! Fra le grandi possibilità di scelta che avrebbero avuto, non sarebbero venute in Italia!
Basta! Basta con questa informazione che strumentalizza tutto e si impietosisce per qualsiasi puntura di zanzara. In Italia si viaggia a viso scoperto. La testa può essere coperta ma il viso no. E allora? Se io andassi in Egitto con una minigonna per strada, qualcuno mi si avvicinerebbe e sicuramente non sarebbe così gentile. In Marocco, qualche anno fa a Fez, io e un'amica, vestite di tutto punto, siamo state prese a sassate da alcuni ragazzotti, perchè abbiamo osato andare - due donne sole! - a vedere un sito archeologico un po' fuori mano. In Algeria, alle sette della sera, vestitissima, uscita da sola in pieno centro per fare un giro e rientrare in albergo sicuramente prima di cena, mi sono vista accerchiata e braccata da uomini che spuntavano da tutte le parti. Ce l'ho fatta a tornare indietro, chiudermi in camera e trovare la mia amica in lacrime perchè molestata dal portiere. In Iran, prima che tutte le donne, straniere e non, fossero obbligate a indossare quel cencio nero, siccome osavo entrare nei bazar a testa scoperta, un uomo dopo l'altro, si avvicinava al mio amico iraniano e gli consigliava di portarmi fuori da quel luogo sacro (perchè c'era la moschea). Sempre in Marocco, io e la stessa amica, se volevamo dormire in alberghetti economici, dovevamo dormire con il tavolo o l'armadio appoggiati contro la porta. E' la loro cultura, rispettiamola. Ma anch'io voglio il rispetto della mia cultura attraverso l'osservanza delle leggi che ci sono qui. E qui la faccia deve essere scoperta. Quella degli uomini e quella delle donne. E scusate se sono incazzata.

venerdì 23 maggio 2008

The writer



"You may think novelists always have fixed plans to which they work, so that the future predicted by chapter one is always inexorably the actuality of chapter thirteen. But novelists write for countless different reason: for money, for fame, for reviewers, for parents, for friend, for loved ones, for vanity, for pride, for curiosity, for amusement: as skilled furniture-makers enjoy making furniture, as drunkards like drinking, as judges like judging, as Sicilians like emptying a shotgun into an enemy's back. I could fill a book with reasons, and they would all be true, though not true of all. Only one same reason is shared by all of us: we wish to create worlds as real as, but other than the world that is. Or was." John Fowles, "The french lieutenant's woman".

giovedì 22 maggio 2008

Donne in Turchia

lunedì 19 maggio 2008

In prigione


Quando ho conosciuto Alì nel carcere ad ordinamento speciale di Empoli (ma non era questa la definizione esatta, c'era qualcosa di speciale ma non ricordo cosa) lui aveva 25 anni ed io "qualcuno" di più, lui era Rom ed io ero l'insegnante d'italiano. Originario del Montenegro, era in Italia da molti anni e non aveva mai trovato il tempo di frequentare un anno scolastico per intero perchè dall'età di sette anni era sempre entrato ed uscito dal carcere minorile di Via della Scala. Sapeva leggere ma era sgrammaticato, non sentiva gli apostrofi, non metteva le doppie, le acca poi non ne parliamo. Ed era quasi sempre il mio unico studente perchè gli altri iscritti frequentavano il corso di giardinaggio, quello di falegnameria, rilegavano la carta e figuravano iscritti in tutti gli elenchi (sembra sia questo il sistema per chiedere ed ottenere fondi). Gli orari dei corsi più o meno coincidevano. Ali aveva trascorso lì gli ultimi quattro anni e sarebbe uscito nel giro di qualche mese se qualcuno avesse garantito per lui. Arrivava in classe (si fa per dire) scortato da una guardia con il quaderno e la penna in mano, ma invece di scrivere amava raccontare la storia dei suoi furti. Mi descriveva le villette in collina, le gronde su cui si arrampicava per salire ai primi piani, gli attrezzzi che usava per aprire le porte e le finestre, le scarpe perdute per scappare, i cancelli appuntiti che gli strappavano i pantaloni. E i taxi. Sembrava non avesse mai preso l'autobus. Non conosceva le strade e i percorsi perchè il tassista sapeva fare benissimo il suo mestiere. Anzi, mi diceva, che la mattina dalle parti del campo nomadi c'erano sempre gli stessi tassisti. Clienti abituali, i Rom, sembra vadano molto d'accodo con i tassisti. Alì, sempre pulito e ordinato, mi raccontava di essere più civilizzato degli altri, perchè aveva passato tanto tempo in carcere, aveva conosciuto tante assistenti sociali, aveva imparato ad usare bene le posate e a fare la doccia anche tutti i giorni. Diceva di non riconoscersi negli altri, si sentiva diverso e anche un po' sfortunato perchè era nato in mezzo a gente così. Il suo ultimo furto di gioielli lo aveva fatto in una villa verso Monte Morello, i gioielli erano tanti, lui aveva riempito una sacca e mentre sgattaiolava da una finestra erano arrivati i padroni di casa ed era stato immobilizzato con la refurtiva. L'assistente sociale stava preparando le carte per farlo uscire ma c'era bisogno di qualcuno che lo ospitasse e che avesse un reddito anche minimo, poi lui avrebbe dovuto frequentare la scuola Edile del Comune per imparare un mestiere e il pomeriggio andare a scuola e predere almeno la licenza elementare (esisteva fino a pochi anni fa). Per la casa (diciamo così) firmò la sorella che abitava in una roulotte e faceva le pulizie in un ambulatorio privato. Per la scuola Edile si adoperò l'assistente sociale e per la scuola mi impegnai io. Quando uscì, io non insegnavo più in carcere, avevo una classe in una scuola del centro storico e speravo di riuscire ad inserirlo in qualche corso serale. Andai a trovarlo al campo nomadi e mi ospitò in una roulotte tutta tappeti e parabola sul tetto, le fontanelle del campo scrosciavano e nessuno le chiudeva, i fili elettrici dondolavano sui tetti freddi e collegavano cavi e cavetti di condizionaori e stufe elettriche. I bambini sguazzavano nelle pozzanghere e lanciavano in aria vestitini e maglioncini che qualcuno amorevolmente aveva lasciato al cancello per gli zingarelli. Alì mi propose di fare un giro con la mia macchina, avrei guidato io ovviamente, anche se lui -disse-era capace di guidare perfino una Mercedes. Gli chiesi dove volesse andare e mi portò sulle colline di cui conosceva ogni segreto. Avevo la strana sensazione di essere in un posto che non avrei dovuto occupare, ma Alì mi divertiva. Nella sua tragedia era divertente. Lo portai anche a vedere la scuola che avrebbe dovuto frequentare e la fermata dell'autobus dove doveva scendere. Il tempo dei taxi era finito, tutte le sere sarebbe dovuto andare a firmare dai carabinieri e doveva andarci in autobus, l'abbonamento era a carico del Comune. Ci salutammo sul cancello del campo nomadi dandoci appuntamento per il lunedi alle cinque a scuola. Il lunedi non si presentò, il martedi mattina l'assistente sociale mi disse che grazie a nuovi accordi con il giudice sarebbe stata sufficiente la frequenza alla scuola Edile, bastava che all'uscita e prima di rientrare al campo, andasse a firmare. Il telefonino non era ancora nelle tasche di tutti e lui non aveva il numero di casa mia, lo chiamai al campo dove una specie di portiere alloggiava tutto il giorno in un gabbiotto, ma nessuno sapeva niente. Sulla cronaca di Firenze dopo alcuni giorni, vidi la sua foto, lessi qualche pezzetto della sua storia e la notizia della sua morte per overdose. Non avevo mai pensato che nella sua vita ci fosse anche la tragedia della droga. Lui non ne aveva mai parlato.

Ciao Ali.

domenica 18 maggio 2008

Pranzo di matrimonio


Tempo fa sono stata invitata al pranzo di un matrimonio cinese a Prato. Il ristorante è uno dei più grandi ed ha la facciata a forma di pagoda. Sono arrivata a mezzogiorno e mezzo ma c'erano solo i camerieri, mi hanno detto "aspetta un po'" e mi hanno fatto entrare in una sala con sei tavoli rotondi tutti apparecchiati con tovaglie rosa. Ogni tavolo aveva dieci piatti, in ogni piatto c'era un'aragosta (o così mi sembrava), in mezzo al tavolo, in un vassoio ovale c'erano dei riccioli grigi e non capivo se fosse una verdura o una decorazione non commestibile, dei gambretti rosa facevano capolino qua e là. Mi guardavo intorno e mi sentivo un po' sotto osservazione.
In fondo alla sala, vicino ad una tenda di velluto rosso, c'era un tavolo lungo e stretto con due quadernoni aperti di carta di riso e impilate una sopra l'altra, almeno cinquanta stecche di Malboro divise in più file. Sono andata verso la finestra e ho visto sulla mia destra appoggiato su un tavolo e illuminato con lucine intermittenti, un veliero gigante, le cui vele sembravano di marzapane.
Mi sono avvicinata per capire che razza di istallazione fosse e allora mi sono accorta che la sagoma di veliero era data da tanti recipienti issati su una struttura rigida, contenenti una pasta bianca spugnosa ornata di canditi. Ho pensato subito che se quella fosse stata la torta nuziale, sarebbe stato ben difficile tagliarla e fare le foto. Intanto erano arrivati alcuni ragazzi con giacca e cravatta, due hanno preso le sedie e si sono seduti davanti ai quadernoni, un altro ha cominciato a contare le sigarette.
Sono uscita sul piazzale e finalmente è arrivata una Mercedes nera seguita da altre macchine. Dal sedile posteriore della Mercedes è scesa la ragazza che mi aveva invitato e lo sposo che io non avevo mai visto. Lei aveva un vestito di tulle bianco con un lungo strascico, in testa una coroncina di fiori bianchi e in mano una borsettina di paillettes. Lui era vestito di blu con una cravatta rossa. Mi facevano pensare agli sposi piccini che si mettono in cima alla torta. Tutti sono andati verso i tavoli, le donne si sedevano ma gli uomini si disponevano in fila davanti al tavolo con sopra i quadernoni e le sigarette. Ho pensato che ci fosse, abbinata al matrimonio, una rivendita abusiva di tabacchi, ma poi ho visto che ognuno di loro tirava fuori dalla tasca biglietti da cento euro, li metteva sul tavolo, il ragazzo seduto registrava il nome, faceva firmare e poi gli dava due, tre pacchetti di sigarette.
Ero sempre più confusa. Conoscevo solo la sposa e lei era circondata da amici e parenti e forse non mi aveva nemmeno visto. Mi sono seduta al tavolo più vicino all'uscita pensando anche ad una possibile via di fuga. Finita la consegna dei soldi, chiusi i quaderni, tutti si sono seduti e hanno cominciato a mangiare la bestia che avevano nel piatto. Al mio tavolo si sono sedute due ragazze cinesi e due bambine. Le bambine parlavano italiano, mi hanno detto che frequentavano la scuola elementare.
Mangiavano contente l'aragosta e ogni tanto guardavano me che non sapevo da che parte cominciare, poi ho chiesto cosa fossero quei riccioli e mi hanno risposto che erano lingue di anitra essiccate. Ho preso qualche gamberetto, ma tutto era freddo e speravo che arrivasse qualcosa di fumante. Altri vassoi con altri crostacei e frutti di mare venivano appoggiati in mezzo alla tavola, le bamine si servivano e mi chiedevano "buono"? ma per me che sono abbastanza vegetariana, era uno sforzo enorme mangiare quegli animali freddi che puzzavano di mare, senza nemmeno una salsa . Finalmente è arrivata una zuppiera fumante. Pensavo fosse una zuppa di verdura, ma quando stavo per servirmi, mi hanno spiegato che si trattava di brodo di tartaruga con pezzi di tartaruga. Ho abbandonato il ramaiolo e ho cominciato a spelluzzicare un gamberone. Pensavo con piacere a quando avrei assaggiato un pezzo della torta psichedelica, che almeno sicuramente, sarebbe stata dolce, ma, ahimé, quando il pranzo stava per finire e mi sono voltata verso il veliero, ho visto che mancavano già diverse vele oltre alla prua, ed era assediato da uomini e donne che tagliavano un pezzo, lo mettevano in un sacchetto di plastica e se lo portavano via. Una bambina mi ha detto che la busta avrei dovuto chiederla al cameriere e io: " ma perchè portano a casa la torta? " " perchè qui abbiamo mangiato tanto, la torta domani". La sposa intanto era andata a cambiarsi ed è entrata nel salone con un vaporoso abito viola. Il marito è rimasto con gli stessi vestiti, tutti applaudivano, qualcuno ha portato un limone infilzato di stecchini per gli sposi che, vicini con la bocca, dovevano sfilarli ad uno ad uno senza far cadere il limone. Ho tirato fuori la mia macchinetta fotografica, il veliero ormai era stato spolpato ed io non avevo nemmeno una foto. La sposa è venuta a salutarmi e mi ha portato un pezzo di torta dentro il sacchetto perchè una delle due bambine era andata a dirle che io ero rimasta senza.
Quando i camerieri hanno cominciato a portare il vino e i superalcoolici (perchè durante il pranzo non c'erano bevande in tavola), sono andata dalla sposa, l'ho baciata, l'ho ringraziata, ho stretto la mano all sposo e piano piano ho guadagnato l'uscita.

I soldi consegnati agli uomini dei quaderni costituiscono il regalo, che verrà poi contraccambiato con una cifra superiore a quella offerta non appena se ne presenterà l'occasione, cioè un altro matrimonio. Le sigarette, sono le bomboniere. Me lo ha spiegato una bambina sottolineando che io non dovevo fare questo regalo perchè sono italiana, ma la bomboniera, potevo prenderla.
In macchina, ho tirato fuori il pezzo di dolce, l'ho addentato e mi sembrava pieno di aria. Era zuccherato appena appena e di canditi nemmeno l'ombra.
Chissà cosa avrà raccontato ai suoi amici, la signora cinese che diversi anni fa ho invitato al matrimonio di mia sorella.

sabato 17 maggio 2008

Di notte


Zu mi ha detto "telefono mamma" e io ho chiesto "come sta tua mamma?", lui ha risposto ridendo (perchè i cinesi quando nominano qualcosa di brutto ridono, vedi post sulla mafia) che mamma male occhi problema lavoro. Ho chiesto "che lavoro fa?" Lui è andato alla lavagna, ha cercato un gesso e ha disegnato qualcosa di rotondo con due zampette. Mi sembrava di aver capito e ho detto "lavora con i maiali?" "No maiali" poi con le mani ha fatto un gesto lento verso terra e allora ho avuto un'illuminazione "tartaruga?" e ho fatto il mio disegno alla lavagna. Lui ha ha detto di si. Il probema era capire che tipo di lavoro faceva la mamma con le tartarughe. Ho chiesto "quando lavora la mamma?" Ha risposto papà e mamma lavora la notte alle tre fino mattina alle sette poi dorme 5 ore poi mamma cucina, papà beve birra, guarda tv. Insomma tutti abbiamo capito che i suoi genitori la notte vanno a pescare le tartarughe e la mattina le vendono ai ristoranti. Anche lui in Cina faceva questo lavoro, però la sera, prima di andare in mare, andava in discoteca con amici. Una tartaruga si vende a tre euro, la zuppa di tartaruga costa 20 euro. Lui faceva il conto direttamente in euro, a me la zuppa sembrava un po' cara, però lui diceva "buona stomaco". Avrei voluto chiedere tante cose sulla notte in mare a prendere le tartarughe. E' illegale? E' più facile prenderle di notte che di giorno? Ma in classe non c'erano cinesi capaci di capire e tradurre, così ognuno ha immaginato un po' quello che voleva. A me sembrava di vedere la Provvidenza dei Malavoglia sbattuta dalle onde contro un cielo nero e senza stelle, la casa del nespolo perduta per mandare il figlio in Italia e il debito dei lupini da saldare notte su notte, tartaruga su tartaruga.

lunedì 12 maggio 2008

Ricongiungimento


Stamattina mentre guidavo verso Firenze, stando attenta alle curve fra le nebbie mattutine dell'Appennino e ascoltando una radio gracchiante e disturbata, ho sentito una notizia davvero bizzarra: sembra che Maroni abbia pensato di controllare la veridicità dei legami familiari degli extracomunitari con l'esame del DNA. Forse ho capito male. E come farebbe? Dopo che l'aspirante ricongiunto è arrivato, si procederebbe con il test? Oppure nei paesi di origine, avvierebbe la costruzione di laboratori...Invece per i rifugiati politici, sembra che ci sia un protocollo internazionale. Per tutte le altre questioni sull'immigrazione, si sbizzarirà come gli viene meglio. Questi politici preferiscono sempre scervellarsi e mai guardano al già fatto, al già sperimentato dei paesi dove tutto funziona meglio. Ma avrò capito male io, anche la gestione dei CPT non l'ho mai capita bene: non funziona per gli immigrati ma funziona benissimo pr tutti i mediatori, appaltatori e non so chi altri ci mangiano e ci ingrassano. Dopo i Centri di permanenza temporanea, i laboratori di analasi privatii

lunedì 5 maggio 2008

Siamo un po' uguali


Due studenti brasiliani, colti e intelligenti. Sono qui per un anno per fare un Master all'università. Sono stai in Francia per un anno per fare qualcos'altro. Pensiero espresso a proposito dell'università a Firenze: disorganizzazione totale, i professori non espongono il loro programma, spesso sono assenti, la data degli esami è qualcosa di fluttuante e sempre rivedibile, gli studenti sono in balia del caso.

Francia: Le facoltà sono ben organizzate, gli studenti si muovono dentro percorsi ben preordinati, i professori sono dipendenti dell'università e non agiscono come liberi professionisti oberati di lavoro e sempre sfuggenti.

Gli Italiani sono allegri e bugiardi, i Francesi tristi e musoni. Quando i Francesi si incontrano dopo tanto tempo, non c'è un abbraccio caldo ma una mano molle.

In Italia è come in Brasile, i soldi ci sono, i fondi arrivano, ma tutto scompare nelle tasche di pochi. Qui le mafie, i politici corrotti, l'amore per il sotterfugio e l'intrallazzo, in Brasile più o meno la stessa cosa.

Ecco, questa è la loro opinione.