Zu mi ha detto "telefono mamma" e io ho chiesto "come sta tua mamma?", lui ha risposto ridendo (perchè i cinesi quando nominano qualcosa di brutto ridono, vedi post sulla mafia) che mamma male occhi problema lavoro. Ho chiesto "che lavoro fa?" Lui è andato alla lavagna, ha cercato un gesso e ha disegnato qualcosa di rotondo con due zampette. Mi sembrava di aver capito e ho detto "lavora con i maiali?" "No maiali" poi con le mani ha fatto un gesto lento verso terra e allora ho avuto un'illuminazione "tartaruga?" e ho fatto il mio disegno alla lavagna. Lui ha ha detto di si. Il probema era capire che tipo di lavoro faceva la mamma con le tartarughe. Ho chiesto "quando lavora la mamma?" Ha risposto papà e mamma lavora la notte alle tre fino mattina alle sette poi dorme 5 ore poi mamma cucina, papà beve birra, guarda tv. Insomma tutti abbiamo capito che i suoi genitori la notte vanno a pescare le tartarughe e la mattina le vendono ai ristoranti. Anche lui in Cina faceva questo lavoro, però la sera, prima di andare in mare, andava in discoteca con amici. Una tartaruga si vende a tre euro, la zuppa di tartaruga costa 20 euro. Lui faceva il conto direttamente in euro, a me la zuppa sembrava un po' cara, però lui diceva "buona stomaco". Avrei voluto chiedere tante cose sulla notte in mare a prendere le tartarughe. E' illegale? E' più facile prenderle di notte che di giorno? Ma in classe non c'erano cinesi capaci di capire e tradurre, così ognuno ha immaginato un po' quello che voleva. A me sembrava di vedere la Provvidenza dei Malavoglia sbattuta dalle onde contro un cielo nero e senza stelle, la casa del nespolo perduta per mandare il figlio in Italia e il debito dei lupini da saldare notte su notte, tartaruga su tartaruga.
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4 commenti:
Io rimango sbalordito dalle storie di vita che tu Daniela riesci a raccontarci. Storie di vita di tanti immigrati che sembrano dei film con cui commuoversi e invece sono la realtà. Certo vai a spiegare a quel bambino cinese che le tartarughe sono protette, unico sostenatmento per questa famiglia. Noi sul nostro blog ci stiamo occupando della nostra storia di emigrazione ed è bellissimo conoscere le storie dell'immigrazione di oggi. Ciao Dani
Giuseppe Crapisi
La zuppa di tartaruga non possiamo più mangiarla in Italia, e neppure la “lingua” di delfino (di cui era ghiotto Dumas), ma fino a qualche decennio fa essa costituiva uno degli esempi di cucina “povera” in alcune zone, come la Maremma.
Il tuo post mi ha riportato alla mente mio nonno, che ha fatto il tassista fin verso i primi anni sessanta (quando andò in pensione) ed era soprannominato, nell’ambiente dei tassisti napoletani, “don Alfonso il tartarugaro”. Il “don” era titolo che s’acquisiva con l’età. Il “tartarugaro” era riferito alla sua precedente attività: aveva una bottega artigiana (prima della guerra) nella quale lavorava il guscio di tartaruga, ne faceva spazzole e quant’altro andasse a corredo delle toelette delle belle signore del tempo.
E' molto bello ed emozionante leggere le storie dei migranti raccontate da stranistranieri. E anche le storie di uno come alfonso nato secoli addietro assomigliano a quelle di stranistranieri. D'altronde i migranti italiani di pochi decenni fa sono come i migranti di oggi da noi (in questo senso è da leggere, per esempio, L'orda di G.A. Stella)
Ch figo avere avuto un nonno tartarugaro! Chissà che pettini e che spazzole e specchietti. Mi scuso con le tartarughe ma te lo invidio.
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