Su tutto il territorio nazionale, 1500 insegnanti in meno per i Centri Territoriali Permanenti. Gli adulti italiani e stranieri che frequentano i corsi, così, tanto per padroneggiare meglio la lingua, acculturarsi un po' con l'informatica e l'inglese, socializzare e inserirsi, dovranno rinunciare a bazzicare le scuole, se non sono interessati a prendersi un titolo d'istruzione formale. Vale a dire: licenza di scuola elementare (ma non era sparita?) e licenza di scuola media inferiore e superiore. Chi non consegue il titolo, va a farsi il corso che vuole presso un ente privato. Lo Stato non è più disposto a pagare i suoi insegnanti se questi non danno risultati visibili su carta bollata (questa c'è sempre?). Il credito culturale non è un titolo. Che dire? Il dibattito è aperto.
giovedì 23 ottobre 2008
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La scuola, le banche, la Gelmini
Da Vanity Fair, 22 ottobre 2008
di Pino Corrias
Sono belli e allegri i cortei di questi giorni contro la riforma della scuola ideata dagli staff dei ministri Tremonti & Brunetta e poi passata sotto banco, durante l’intervallo, alla ministra Mariastella Gelmini, che a ogni interrogazione in pubblico, e con notevoli occhiali, la difende a memoria.
Sono belli, allegri e irriverenti, come è giusto che sia (“taglia taglia e il bambino raglia”) in omaggio, anche, alla giovinezza. Sono persino educati. Infinitamente più educati di quanto non lo siano gli adulti, non solo i politici, che stanno (che stiamo) furiosamente scassando il mondo, incapaci di distribuire un po’ di riso, un po’ di medicine, un po’ di acqua pulita, un po’ di contraccettivi per alleviarne la deriva. Ma capacissimi di moltiplicare guerre e crolli finanziari. Consumi e fallimenti. Trovando in tre settimane migliaia di miliardi di dollari per salvare le banche, ma nulla, o quasi nulla, da decenni, per salvare qualche ragazzino africano dalla malaria e comprare dei banchi in più per gli scolari di Scampia.
Dicono che gli studenti ne sappiano poco o nulla della riforma della scuola e che protestino per niente. Il niente sarebbero i grembiulini, il sette in condotta, il maestro unico e magari le classi dell’apartheid padana. Ma se davvero fossero niente, allora perché la riforma? E se non prevedesse il taglio di classi, di scuole, di posti di lavoro, e di buon senso, perché affannarsi a vararla? Per licenziare un po’ di bidelli? Ma no, dice la signora Gelmini. La quale sa anche sorridere mentre spiega che tagliando qui e là si rimetterà ordine al disordine scolastico, ci sarà più disciplina e più premi ai meritevoli. La sua carriera lo dimostra. Le classi dirigenti lo dimostrano e il mondo che ne consegue pure. Sarà quel suo sorriso lieto a irritare i ragazzi più della riforma, oppure solo le bugie?
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